Il National DNA database in Inghilterra e Galles: la saga infinita
“La natura indiscriminata dei poteri di conservazione delle impronte digitali, dei campioni cellulari e dei profili di DNA appartenenti a persone sospettate ma non condannate per i reati […] non persegue un giusto equilibrio tra interessi pubblici e privati in concorrenza tra loro e lo Stato convenuto ha oltrepassato ogni accettabile margine di apprezzamento in questo senso. Di conseguenza, la conservazione in questione costituisce un'ingerenza sproporzionata nel diritto dei ricorrenti al rispetto della vita privata e non può essere considerata necessaria in una società democratica”: questa la ratio decidendi della Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso S. and Marper v. UK (4 dicembre 2008) in merito alla conservazione nel NDNAD (National DNA Database) di profili genetici appartenenti a persone innocenti o prosciolte a seguito di procedimento penale a loro carico.
E, nel lungo e tortuoso iter per dare esecuzione alla sentenza – iter che ha visto intervenire il Governo in carica e di coalizione, le organizzazioni a tutela dei diritti umani, le forze di polizia, il Parlamento inglese, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa – ha ora espresso la sua voce anche la Supreme Court britannica, la quale si pone nettamente in linea con il dictum della Corte sovranazionale.
Il 18 maggio 2011 i giudici britannici sono intervenuti sul “leapfrog appeal” esercitato da due cittadini indicati come C e GC contro la conservazione illimitata dei loro profili, nonostante il loro mancato rinvio a giudizio a seguito di arresto (nel caso di GC) e proscioglimento (per C). La Corte inglese, rovesciando il precedente espresso dalla House of Lords sul caso S. and Marper nel 2004, ha accolto quasi all’unanimità (a parte le opinioni dissenzienti di Lord Roger e Brown) le richieste dei ricorrenti, affermando che la sezione 64 del Police And Criminal Evidence Act (1984), che ha legittimato la discrezionalità delle forze di polizia nella cancellazione dei profili genetici, debba essere interpretata in un senso compatibile con la CEDU (come richiesto dalla sezione 3 dello Human Rights Act). Pertanto, le linee guida delle forze di polizia attualmente in vigore (introdotte nel 2006 dalla ACPO, Association of Chief Police Officers), che hanno subordinato la rimozione dei profili di DNA, delle impronte digitali e dei dati contenuti nel Police National Computer a “eccezionali circostanze” rimesse alla scelta dei Chief Constables (capi di polizia), sono state definite illegittime, alla luce dell’art. 8 CEDU, come interpretato dalla Corte EDU.
In ogni caso, la Corte britannica non ha ordinato la cancellazione dei profili dal database né ha ordinato all’ACPO di modificare le guidelines, ma, nel pieno rispetto della sovranità parlamentare, ha concesso al governo un “tempo ragionevole” per implementare la decisione, anche in attesa che la legislazione che dovrebbe dare esecuzione alla sentenza S. and Marper sia adottata dal Parlamento nazionale.
Pende, infatti, già da tempo la questione relativa agli emendamenti da introdurre nella normativa interna per ottemperare al dettato di Strasburgo. A tal proposito, va detto che, dopo una serie articolata di proposte avanzate da più parti, nell’aprile 2010 si è approdati all’adozione del Crime and Security Act, il quale, tuttavia, a causa delle elezioni intervenute in medias res, non è entrato in vigore in ogni sua parte. In particolare, le norme sulla conservazione e cancellazione dei profili genetici (proprio le questioni sulle quali la Corte EDU si era espressa) non sono vigenti, a differenza di quelle sul prelievo coattivo.
Per tale motivo, è attualmente all’esame del Parlamento il nuovo Protection of Freedoms Bill (proposto l’11 febbraio 2011), che, in sintesi, continua a prevedere la conservazione per 3 anni (prorogabile di altri 2) dei profili appartenenti a soggetti accusati ma non condannati per la commissione di reati gravi. La rimozione totale è ammessa solo per profili relativi a soggetti accusati di reati di minore entità, mentre la ritenzione indefinita è contemplata per i dati genetici degli imputati che abbiano subìto una condanna penale.
Il Bill è ancora in fase di approvazione e resta da vedere come e se “la saga infinita” della banca inglese del DNA a scopo forense si concluderà. Quel che pare verificarsi è, in ogni caso, il fatto che la ritrosia del Paese ad eseguire il dettato sovranazionale si va a poco a poco smorzando, se è vero che la Supreme Court si è posta sulla stessa linea di Strasburgo, anche se il Parlamento inglese stenta ancora a comprenderne appieno la lezione.