IN CASO DI ARRESTO, CONSERVARE (IL DNA PRELEVATO) O NON CONSERVARE? QUESTO È IL PROBLEMA
IL CASO KING V. MARYLAND ALL’ATTENZIONE DELLA CORTE SUPREMA STATUNITENSE.
Può uno Stato detenere, senza limiti di tempo, i profili genetici appartenenti a persone accusate di gravi reati ma non ancora condannate? È su questo punto che tra pochi giorni la Corte Suprema americana sarà chiamata a decidere.
Che il DNA sia un tratto distintivo che ci rende unici e diversi da tutti gli altri è cosa nota. Che il DNA, proprio per questa ragione, rappresenti un supporto investigativo fondamentale nella lotta alla criminalità è altrettanto risaputo. Ma che il DNA rinvenuto sulla scena del crimine sia inserito e catalogato in apposite banche dati e conservato in esse per una durata indeterminata, sia il soggetto condannato o un semplice arrestato e sospettato, è una questione tutt’altro che pacifica, in molti Stati.
Una legge del Maryland (Maryland DNA Collection Act) ammette tale ipotesi.
Alonzo Jay King Jr. viene arrestato per aggressione e viene prelevato un campione del suo sangue dal qual viene estratto un profilo di DNA.
La polizia mette poi a confronto questo profilo genetico con quelli catalogati nel database nazionale (Maryland DNA Database) e trova una coincidenza ("match") tra il profilo dell’uomo e quello raccolto in un caso di stupro rimasto irrisolto da anni. Grazie a tale "hit", quindi, King viene condannato per lo stupro. Di qui l’inizio della vicenda giudiziaria che è ora arrivata alla Corte Suprema.
King chiede in più gradi di giudizio che sia dichiarata l’illegittimità della legge del Maryland proprio per il fatto di consentire la conservazione illimitata di profili anche appartenenti a soggetti non identificati o non condannati (e, quindi, innocenti). Nell’aprile 2012 la Corte d’Appello del Maryland gli dà ragione, statuendo che la legge che autorizza la raccolta dei profili genetici senza mandato rappresenti una violazione del IV emendamento della Costituzione statunitense, in quanto si tratterebbe di perquisizione irragionevole. Il Maryland, invece, non cessa di sostenere che l’incursione nella privacy del signor King sia stata necessaria per ragioni di sicurezza pubblica, e che tale intrusione costituisca, in ogni caso, una compressione di minore portata rispetto ai benefici ottenuti per la risoluzione dei casi giudiziari grazie al DNA.
Spetta ora alla Corte Suprema statunitense fissare il punto di equilibrio tra esigenze di libertà individuale (privacy) e bisogni di sicurezza pubblica.

Quello che gli operatori del settore si chiedono è: i giudici supremi confermeranno la posizione della Corte nazionale, ancorandosi al IV emendamento, o invece preferiranno rovesciare la decisione della Corte del Maryland? Nel primo caso, la Corte statunitense potrebbe trovare un ancoraggio nelle statuizioni della Corte di Strasburgo sul punto (nel caso S. and Marper v. UK, 2008), dando così vita a una sintomatica convergenza di vedute al di qua e al di là dell’Oceano. Nel secondo caso, invece, la Corte Suprema potrebbe giustificare la sua posizione ponendosi sulla stessa linea di altre corti supreme nazionali come la Corte Suprema della Virginia e le Corti d’Appello dei Circuiti Terzo e Nono, in casi analoghi.
Dunque, la Corte Suprema degli Stati Uniti guarderà al panorama europeo o prenderà ispirazione dalle altre corti nazionali? Per l’esito non ci resta che aspettare.